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La scienza nel piatto: la carne coltivata tra ideologia, anti-scientismo ed opportunità economiche

di Andrea Morrison e Lorenzo Vezzoli1

Il ddl che vieta la produzione e la commercializzazione di alimenti derivati da colture cellulari è stato approvato dal Parlamento italiano. Prima che entri in vigore dovrà però essere sottoposto al vaglio della Commissione Europea. I tempi potrebbero essere lunghi, e non è escluso che l’Europa chieda modifiche sostanziali. Con questa legge l’Italia diventa però il primo, ed al momento l’unico, paese al mondo ad imporre un tale divieto. A quanto ne dicono i sostenitori, questa legge oltre a difendere gli interessi degli allevatori e del made in Italy, tutela principalmente la salute dei consumatori. In questo articolo vogliamo fare un po’ di chiarezza sul tema e capire come il sistema della ricerca e quello produttivo si stiano muovendo e sulla base di queste riflessioni valutare se questa legge non possa produrre più danni che i presunti benefici. 

Il punto di partenza è la presa d’atto dell’insostenibilità degli allevamenti intensivi sia in termini ambientali (emissioni e sfruttamento delle risorse naturali) che sociali (rischi per la salute e benessere animale). La crescente consapevolezza dei danni prodotti dall’industria della carne ha spinto il sistema della ricerca verso nuove modalità di produrre e consumare proteine2. Nel 2013 il ricercatore olandese Mark Post presentò al pubblico il primo hamburger coltivato in laboratorio, un esperimento che costò circa 330,000$ ma che segnò l’inizio di un’ondata di innovazione nel mondo della carne. 

La carne coltivata ripropone l’esperienza sensoriale della carne tradizionale, ma è ottenuta senza la necessità di allevare e macellare l’animale. I benefici da un punto di vista della sostenibilità e tutela ambientale ed animale sono diversi: la produzione di carne coltivata riduce del 99% lo sfruttamento di terra, non comporta la formazione di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), elimina gli allevamenti intensivi riducendo il rischio di antibiotico-resistenza e di malattie infettive di origine zoonotica ed infine garantisce l’indipendenza da fattori climatici. Tuttavia, vi sono diversi aspetti critici che devono ancora essere affrontati. Sebbene la carne coltivata venga spesso presentata come un’alternativa green, il processo produttivo richiede molta energia e la carbon footprint è attualmente simile a quella della carne tradizionale. Inoltre, vi sono ancora dubbi sulla salubrità del prodotto: il processo produttivo di molte aziende prevede l’utilizzo di ormoni geneticamente modificati e di alcuni additivi in grado di conferire alla carne l’aspetto e il sapore di quella tradizionale3. Il rischio di eventuali effetti cancerogeni in relazione all’utilizzo di questi elementi deve ancora essere valutato. Ovviamente tutti questi fattori vanno studiati con attenzione prima che si possa passare alla commercializzazione. Tuttavia, per questo ci sono procedure stringenti come avviene per i farmaci.

Il processo di produzione utilizza tecniche biomediche quali la coltura cellulare e l’ingegneria tissutale, e consiste in 4 fasi principali:

  • Selezione delle linee cellulari: al momento la maggior parte dei produttori di carne coltivata utilizza cellule staminali ottenute da una biopsia inerme sull’animale. In futuro l’idea è quella di avere una banca di cellule, rimuovendo completamente l’animale dalla filiera.
  • Proliferazione: le cellule staminali vengono nutrite con un culture medium (un liquido contenente tutti i nutrienti per le cellule) e vengono inserite in un bioreattore che crea le condizioni necessarie per la loro riproduzione.
  • Differenziazione: tramite stimoli chimici ed elettrici ed una modifica della composizione del culture medium le cellule vengono indotte a differenziarsi in grasso, tessuto muscolare e tessuto connettivo.
  • Lavorazioni finali: attraverso l’utilizzo di uno scaffold (una sorta di impalcatura) le cellule di carne prendono la forma del taglio che si vuole ricreare.

A livello tecnologico e di know-how la produzione di carne coltivata non richiede nessun tipo di innovazione radicale, bensì una serie di innovazioni incrementali. Le tecnologie utilizzate al momento, infatti, provengono dal mondo farmaceutico e biomedico e sono pensate per la produzione di medicinali e antibiotici, innalzando notevolmente il costo e limitando la produzione su larga scala. La filiera della carne coltivata è quindi ancora in uno stato embrionale ed è stata per anni dominata da startup che cercavano di integrare tutti gli step del processo produttivo. Stiamo assistendo invece da un paio di anni ad un processo di specializzazione, con attori focalizzati solo su specifici input, tecnologie o step produttivi. Questo passaggio è fondamentale per la maturazione del sistema settoriale innovativo e la diminuzione dei costi di produzione.

Allo stato attuale la commercializzazione di carne coltivata è stata autorizzata solamente in due paesi, Singapore e gli Stati Uniti. In Europa, culla di questa innovazione e leader iniziale del settore, la possibilità di rendere accessibile al pubblico la carne coltivata nel breve periodo sembra essere remota. A causa del più complesso iter legislativo, nessuna azienda di carne coltivata europea (al momento se ne contano 13) ha presentato una richiesta di approvazione all’EFSA, l’ente che valuta la sicurezza alimentare dei cosiddetti novel food. Un ruolo chiave nel contesto europeo è svolto dai governi nazionali, che hanno un ruolo importante nel regolamentare, ma anche nel finanziare la ricerca di base nel settore. Al momento i paesi europei vanno in ordine sparso, da una parte l’Italia, ed in parte altri paesi come la Francia e la Romania, stanno frenando lo sviluppo del settore in Europa. Dall’altra ci sono eccezioni, come l’Olanda, dove la collaborazione tra settore pubblico, privato e accademico ha creato terreno fertile per la nascita di un ecosistema nazionale solido e all’avanguardia. Ad esempio, le aziende olandesi Mosa Meat e Meatable hanno il potenziale per diventare leader mondiali nel settore.

A livello mondiale, il numero di aziende attive nella produzione di carne coltivata sta crescendo notevolmente, così come gli investimenti nel settore. Il capitale raccolto, proveniente principalmente da fondi di venture capital americani, ha raggiunto nel 2021 $1.3 miliardi a livello globale, accelerando la ricerca e diminuendo i costi di produzione. Le più grandi sfide al momento consistono nel migliorare le tecnologie esistenti per consentire la produzione su larga scala e nell’ottenere autorizzazioni dagli stati per la vendita del prodotto.

Da un punto economico questo settore ha un enorme potenziale di sviluppo: le stime indicano che potrebbe raggiungere almeno il 10% del mercato globale della carne entro il 2040. Una politica di chiusura totale da parte dei paesi Europei rischia di lasciare altri, Stati Uniti, Israele e Cina in primis, la decisione su quali siano le direzioni da seguire in campo scientifico, tecnologico ed in ultima analisi di mercato. Abbandonare o frenare la ricerca potrebbe essere un errore strategico e una politica che sembra si guidata più di ideologia anti-scientista non sembra aiuti a valutare i rischi e le opportunità di questo settore.

Foto di Анна da Pixabay

  1. Questo articolo è in larga parte basato sulla tesi magistrale di Lorenzo Vezzoli “Sectoral System of Innovation Cultivated Meat Industry In Europe”(2023), Master in International Management, Università Commerciale Luigi Bocconi. ↩︎
  2. Ovviamente un’altra strada percorribile è quella di ridurre il consumo di carne e puntare su un allevamento sostenibile, come scrive Slow Food in un recente articolo che critica il business della carne colturale, ritenuto non dissimile dalla logica degli allevamenti intensivi (vedi https://www.slowfood.it/slow-meat-2/sf-carne-coltivata/ ). ↩︎
  3. La principale fonte di energia usata nel processo produttivo della carne coltivata è energia elettrica. Una decarbonizzazione della rete elettrica porterebbe la carbon footprint della carne coltivata pressoché a zero. ↩︎
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