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Sistemi alimentari e trasformazione agreoecologica – Parte I

Di Graziano Ceddia, Ricercatore, Centre for Development and Environment Università di Berna*

Introduzione

Tra il 12 e il 15 Ottobre si svolgerà a Milano il primo congresso mondiale sulla giustizia climatica, dove ricercatori e attivisti si ritroveranno per discutere la crisi climatica, e definire possibili strategie d’intervento concreto. I sistemi alimentari (SA)1, figurano in maniera prominente tra le tematiche del dibattito, essendo al centro di crisi ambientali, socio-economiche e sanitarie. L’impatto che i SA hanno sul clima, sulla biodiversità e sull’emergere di nuove malattie infettive è ampiamente riconosciuto. Come se non bastasse, i SA sono anche sistemi basati su sfruttamento, razzismo e in alcuni casi vera e propria schiavitù. È in tale contesto che oggi si parla assiduamente di trasformazione dei SA, al fine di garantire la prosperità di tutti rispettando i limiti ecologici del pianeta. Con la presente riflessione, divisa in due parti, voglio affrontare il discorso della trasformazione dei SA. In questa prima parte, parlerò delle principali disfunzioni dei sistemi alimentari e di come queste discendano dalla loro configurazione capitalista. Nella seconda parte, parlerò in maniera specifica del potere trasformativo dell’agroecologia politica.  

Il capitale e le disfunzioni dei SA

È innegabile che la configurazione prevalente dei SA oggi sia di tipo capitalista. Uno dei messaggi principali di questo articolo è che le principali disfunzioni dei SA possono essere ricondotte alla loro configurazione capitalista. Per comprendere cosa sia il capitalismo, è opportuno partire dal concetto di capitale. Il capitale non è una cosa, bensì un processo di accumulazione. Infatti, durante il processo di accumulazione il capitale cambia pelle (da moneta a merce, poi un’altra merce ed infine di nuovo moneta). Pertanto è più opportuno pensare al capitale come ad un processo che come ad una cosa. Inoltre, durante il processo di accumulazione la produzione di uno specifico bene o servizio come merce, cui corrisponde il soddisfacimento qualitativo di un bisogno specifico, è solo intermedio (nel senso che sta nel mezzo e pertanto è solo un mezzo) all’espansione quantitativa del capitale. Essendo quantitativa tale espansione è di fatto illimitata. Ciò contrasta fortemente con la finitezza del pianeta.

Ebbene, ritornando ai SA, è opportuno vedere brevemente in che modo la configurazione capitalista dei SA, cioè il fatto che i SA sono plasmati principalmente dal processo di accumulazione del capitale, si manifesta concretamente.

In primo luogo, nella loro configurazione capitalista, i SA sono orientati all’espansione continua, in linea con le esigenze del processo di accumulazione già descritto. I dati FAO ci dicono infatti che la produzione globale di cibo è passata da 1.02 a 3.98 triliardi di dollari dal 1991 al 2020, mentre il commercio alimentare è cresciuto da 272 miliardi di dollari a 1.32 triliardi di dollari nello stesso periodo. Essendo tale espansione orientata all’accumulazione del capitale e non al soddisfacimento dei bisogni, essa coesiste con la prevalenza di malnutrizione. Sempre la FAO ci dice che nel 2021 oltre 761 milioni di persone erano sottonutrite mentre oltre 2.3 miliardi di persone vivevano in condizione di moderata o elevata insicurezza alimentare. La persistenza dell’insicurezza alimentare, non è dovuta alla carenza fisica di cibo (produciamo abbastanza per tutti), ma all’incapacità di accedervi da parte di milioni di persone che non dispongono del reddito sufficiente. Ecco, il cibo c’è ma non riusciamo a venderlo tutto con profitto. In questa contraddizione si nota tutta la follia della configurazione attuale dei SA.

In secondo luogo, nella configurazione capitalista dei SA è la competizione per il profitto e quote di mercato, da parte delle aziende che ne fanno parte, che ne regola l’espansione. Ogni competizione ha sempre dei vincitori e dei vinti. A partire degli anni 90 si può osservare una crescente concentrazione nel settore agro-alimentare, sia a monte che a valle, e nella distribuzione della proprietà terriera. Per esempio, nel settore agrochimico, quattro grandi conglomerati (ChemChina/Syngenta, Bayer, Corteva e BASF) controllano oltre il 70% del mercato mondiale delle sementi e 60 di quello dei pesticidi2. L’eccessiva concentrazione a sua volta si riflette sia sui processi istituzionali che sui processi tecnologici. È noto come le grandi multinazionali del settore agro-alimentare siano in grado di influenzare il contesto istituzionale a loro vantaggio e allo stesso tempo distorcere i processi di sviluppo tecnologico. È sufficiente pensare al rafforzamento della legislazione, a livello nazionale e internazionale, sulla protezione delle varietà che hanno favorito lo sviluppo di tecnologie agricole orientate al profitto più che al bene comune. La concentrazione si manifesta anche nel fatto che le decisioni di investimento, relative all’espansione dei sistemi agro-alimentari, si concentrano nelle mani di un numero sempre più ristretto di persone. Un numero abbastanza ristretto di investitori è responsabile per l’espansione dell’agricoltura in importanti aree delle foreste tropicali e temperate. D’altro canto, un numero enorme di lavoratori e lavoratrici si dedicano alla produzione di merci nel settore agro-alimentare. La competizione per il profitto e per quote di mercato porta al taglio dei costi, soprattutto del lavoro. Ciò si ottiene o attraverso l’aumento della produttività del lavoro o attraverso l’aumento dello sfruttamento. Spesso le due strategie si completano a vicenda. Per esempio, in America Latina l’espansione dell’agricoltura intensiva (sotto forma di monocolture di soia geneticamente modificata) è andata di pari passo con un aumento della produttività del lavoro, un aumento dello sfruttamento e della precarizzazione dei lavoratori ed un crescente impoverimento dei contadini e delle popolazioni indigene. In altri casi lo sfruttamento avviene in condizioni di bassa produttività del lavoro, un processo facilitato dall’elevato tasso di disoccupazione e dalla concentrazione del settore agro-alimentare a monte e a valle e dalle limitate possibilità di accesso alla terra. Lo sfruttamento dei lavoratori migranti nei campi del Nord Globale e lo sfruttamento dei contadini nella produzione di derrate da esportazione nel Sud Globale (si pensi ai produttori di cacao in Africa Occidentale) sono due esempi lampanti. Infine, lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici nei sistemi agro-alimentari si avvantaggia delle forme di differenziazione sociale. Sebbene il razzismo ed il patriarcato siano precedenti al capitalismo, quest’ultimo tende a riprodurli a proprio vantaggio. Ciò vale soprattutto per le donne che subiscono un’ulteriore forma di sfruttamento. Essendo le principali responsabili della riproduzione sociale, il loro lavoro non pagato rappresenta un regalo al capitale. 

In terzo luogo, sin dal momento iniziale il processo di accumulazione presuppone l’esistenza del lavoro e dei mezzi di produzione (terra in particolare) come merci. La mercificazione si basa sulla dissoluzione del legame che legava le persone l’una all’altra ed alla terra, attraverso legami di appartenenza a clan ed usi comuni della terra. La dissoluzione di tali legami è stata quasi definitivamente completata in Europa, mentre è ancora in corso nel Sud Globale.  È sotto la conseguente costrizione muta della necessità economica che la maggior parte delle persone vende il proprio lavoro per un salario. L’espansione delle frontiere agrarie, soprattutto nel Sud Globale, e l’espulsione di contadini e comunità indigene con la loro conseguente proletarizzazione sono esempi sufficienti. Alla materialità di questi processi corrisponde sul piano culturale/istituzionale la diffusione dell’ideologia dell’individuo da un lato (cristallizzato nell’individualismo metodologico) e alla centralità della proprietà privata della terra, che assurge a diritto naturale. 

Infine, a meno che le merci non trovino un compratore, il processo di accumulazione si ferma. Le forme più sfrenate di consumismo nel settore agro-alimentare, coesistono con la malnutrizione (intesa come sottoalimentazione ma anche come obesità) e con l’enorme spreco alimentare. Al fine di promuovere questi eccessi, immani risorse sono investite nel marketing e nella pubblicità, prendendo di mira soprattutto le categorie più deboli, come i bambini.

Si comprende bene la necessità di trasformare i sistemi alimentari e di lasciarsi alle spalle la loro configurazione capitalista? Ma come fare? Da dove cominciare? Nella seconda parte di questo articolo cercheremo di affrontare questa questione partendo dall’agroecologia politica.

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*Tutte le opinioni qui riportate sono a titolo personale.

1 Come SA si intende il complesso di attori (e le relazioni tra essi) coinvolti nella produzione, distribuzione e consumo di cibo.

2 Negli anni 90, le imprese chimico -farmaceutiche,  che producevano anche pesticidi, come ad esempio Bayer, hanno cominciato a produrre e vendere sementi grazie alle possibilità offerte dall’ingegneria genetica. Questo nuova strategia basatasulla complementarietà dei prodotti ha fatto sì che le quattro imprese citate abbiano moltiplicato per tre la loro quota di mercato in poco più di 20 anni.

Foto di Yves Bernardi da Pixabay

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