Di Claudio Cozza
Come abbiamo detto sin dal primo articolo di questa sezione sul sovranismo tecnologico, abbondano recentemente i contributi giornalistici che danno una lettura “tecnologica” delle contrapposizioni geo-politiche attuali. Pur essendo d’accordo nel merito – ad esempio sul fatto che la competizione tecnologica sia alla base dell’Inflation Reduction Act statunitense o del Green Deal europeo o dei recenti piani cinesi – troviamo però riduttivo il modo in cui viene svolto tale confronto. Anche i servizi giornalistici o gli articoli migliori, finiscono per parlare genericamente di USA contro Cina oppure per sovrapporre le strategie di una grande impresa con quelle del paese di provenienza (caso tipico: Huawei/Cina).
Le statistiche aggregate effettivamente mostrano che “nel 1996 la Cina spendeva all’incirca lo 0,56% del suo Pil nelle spese di ricerca e sviluppo (R&S), mentre nel 2022 tale percentuale era salita oramai al 2,5%, raggiungendo un valore di circa 450 miliardi di dollari” o che “tale cifra appare ancora abbastanza inferiore a quella degli Stati Uniti, il cui livello di spesa appare essere superiore al 3,0% del totale del Pil, con una spesa che nel 2022 dovrebbe essersi collocata intorno ai 607 miliardi di dollari, con una dinamica di crescita che appare comunque abbastanza inferiore a quella della Cina” (Comito, 2023, si veda link precedente). Ma tali statistiche – che riportiamo in figura 1 aggiungendo anche quelle della Germania, per confronto – raccontano solo una parte della storia.
Figura 1 – Spese totali in R&S in percentuale di PIL (fonte: OECD, database MSTI)
Non è solo un fatto di scegliere un indicatore piuttosto che un altro, o di trascurare la possibile variabilità delle metodologie statistiche adottate nei singoli paesi. La vera parzialità sta nel fatto che una figura del genere si disinteressa della distinzione fra ricerca pubblica e privata. In altre parole, non fa emergere COME stia avvenendo questa rincorsa tecnologica cinese, ossia ignorando i soggetti che la stanno sostenendo (lo Stato? le imprese?) o a favore di chi vada questo sviluppo (l’intera popolazione? la classe media? un’oligarchia?). Come si può ben capire, specificare il come non è di poco interesse, per rispondere a tali domande implicite. Qui ci limitiamo ad approfondirne una: la rincorsa tecnologica cinese è tutta merito delle strategie pubbliche, come una “lettura politica” vorrebbe suggerire? Se replichiamo il grafico con i dati della sola spesa in R&S finanziata dallo Stato, in figura 2 mostriamo che la storia non sta affatto così.
Figura 2 – Spese in R&S finanziate dallo Stato, in percentuale di PIL (fonte: propria elaborazione su OECD, database MSTI)
La quota di spesa in ricerca pubblica cinese aumenta, ma non così tanto da giustificare la crescita di figura 1. Ne deriva che l’accelerazione della R&S cinese sta soprattutto nella spesa delle sue imprese. Certo, non ignoriamo la specificità del rapporto fra strategie pubbliche e private di quel paese, che rende meno nitida la distinzione fra spesa “realmente pubblica” e “realmente privata”. Ma aggiungiamo che questo tipo di statistiche peccano anche per avere un’ottica troppo “interna”: si contabilizza un dato nazionale, tuttalpiù pesato per il PIL, e poi lo si confronta con l’omologo di altri paesi. Ma la competizione internazionale si gioca ormai tra imprese transnazionali che non solo producono in paesi diversi ma che organizzano così anche la R&S: pesare le spese in R&S per il PIL di un paese puo’ essere fuorviante. Come possiamo quindi vedere questa rincorsa cinese oltre i propri confini?
Uno strumento adeguato è l’EU R&D Investment Scoreboard del JRC (Centro Comune di Ricerca) della Commissione Europea, da vent’anni di fatto la “classifica delle imprese mondiali che spendono di più in R&S”. Tra il 2004 e il 2010 tale classifica era in realtà doppia, divisa fra imprese dell’Unione Europea ed extra-UE. In quegli anni, le imprese cinesi in grado di entrare in classifica erano poche unità, con un massimo per l’anno di bilancio 2009 dove erano appena 21 su 1000 imprese extra-UE, e con una spesa che era appena il 2% del totale (viceversa, in quell’anno le imprese USA erano il 50% e spendevano il 49% del totale).
Negli anni successivi, però, la rincorsa si è concretizzata. Come mostriamo in figura 3 e in figura 4, tra le top 2500 imprese per spesa in R&S nel 2021, le cinesi in classifica sono arrivate ad essere ben 678 con 196 miliardi di euro di spesa, seconde solo a quelle USA (822 imprese con 439 miliardi di euro).
Figura 3 – 2500 imprese con più spesa globale in R&S: percentuale imprese per paese di residenza (fonte: propria elaborazione su EU R&D Investment Scoreboard)
Figura 4 – 2500 imprese con più spesa globale in R&S: miliardi di euro di spesa, in valori correnti, per paese di residenza (fonte: propria elaborazione su EU R&D Investment Scoreboard)
Si può concludere come sia essenziale osservare la tecnologia cinese massimamente in relazione con le scelte strategiche delle imprese lì basate. Ma anche tale conclusione, prettamente quantitativa, è insufficiente e va integrata con altre domande più qualitative: se anche quelle cinesi sono grandi imprese transnazionali, DOVE svolgono questa loro ricerca? In che paesi? In che settori e tecnologie? Con quali rapporti con il governo della madrepatria e con i governi dei paesi che le ospitano?
Senza farsi queste domande, ancor prima di sapersi dare delle risposte, ogni dibattito sul sovranismo tecnologico ci pare vuoto e fuorviante.
Foto di Leslin_Liu da Pixabay